Le proposte del PD sulle pensioni

1. Con il Decreto Legge del Luglio 2007 sono state introdotte significative novità a favore dei pensionati di età superiore ai 64 anni, con un reddito annuo non superiore a 8.675,03 euro nel 2008 (la somma corrisponde ad una volta e mezza il trattamento minimo).

La somma aggiuntiva, nel 2008, varia tra 336 e 504 euro, a seconda dell’anzianità contributiva. Si tratta di un intervento (denominato “14ª mensilità”) che ha interessato 3 milioni di pensionati, cui si aggiungeranno 400.000 aventi diritto cui è stato richiesto il RED e saranno liquidati ad Aprile 2008.

2. Per affrontare il problema della difesa del potere d’acquisto delle pensioni superiori a quelle fatte oggetto dell’intervento denominato “14ª mensilità”, è possibile utilizzare la leva fiscale.

L’intervento previsto riguarda i pensionati di oltre 65 anni e determina, a partire dal 1 Luglio 2008, un incremento medio di quasi 400 euro l’anno per le pensioni fino a 25.000 euro l’anno (fino a circa 2.000 euro al mese) e un incremento tra i 250 ed i 100 euro l’anno per le pensioni di importo compreso tra 25.000 e 55.000 euro l’anno.

In particolare, vengono innalzate le detrazioni previste per i redditi da pensione in funzione dell’età anagrafica, in modo tale da incrementare maggiormente, per ogni dato livello di pensione, le pensioni più vecchie, ossia le pensioni più distanti dalla data del pensionamento e quindi maggiormente erose dalla perdita di potere d’acquisto.

Per i pensionati con età compresa tra 65 e 70 anni, la detrazione per il reddito da pensione viene portata a 1940 euro (oggi, 1725 euro) ed il reddito di riferimento a 8435 euro (oggi, 7500 euro). Per ogni dato livello di pensione, la detrazione aumenta con l’aumentare dell’età anagrafica fino ad arrivare a 2.140 euro per i pensionati di oltre 75 anni (il reddito di riferimento sale a 9340 euro), i quali sono pensionati da circa 15 anni (in media). Le detrazioni, analogamente a quanto avviene oggi, si riducono man mano che aumenta il reddito, fino ad azzerarsi per i redditi pari o superiori a 55.000 euro l’anno.

Il costo complessivo degli interventi descritti è circa 2,5 miliardi di euro l’anno (in altre parole, a regime, la pressione fiscale si riduce di quasi 0,2 punti percentuali di PIL). Le misure entrano in vigore a partire dal 1 Luglio 2008.

3. Ci sono due problemi legati all’attuale meccanismo di indicizzazione delle pensioni, che prende come riferimento l’indice generale dei prezzi al consumo.

Il primo problema è che l’indice generale dei prezzi al consumo dell’Istat ignora voci che hanno un peso rilevante nei consumi dei pensionati, coprendoli in maniera inadeguata dal rischio di un aumento del costo della vita.

Il secondo problema è che anche se si riuscissero a mantenere le pensioni in essere costanti in termini reali (ossia rivalutandole soltanto al costo della vita) si potrebbe finire, a lungo andare, col generare divari di reddito consistenti fra diverse generazioni di pensionati (le cosiddette pensioni d’annata) e fra queste e i lavoratori.

Il primo problema potrà essere affrontato non appena l’Istat pubblicherà regolarmente l’indice del costo della vita delle famiglie di pensionati, riferendo a quest’ultimo l’adeguamento automatico delle pensioni.

Il secondo problema è di più difficile soluzione, dato il livello già molto elevato della spesa previdenziale e la necessità di introdurre nuovi istituti di protezione sociale che proteggano tutti (anche i pensionati) dal rischio di povertà. L’accordo del luglio 2007 prevede la revisione dei coefficienti di trasformazione ogni 3 anni e l’istituzione di una Commissione che dovrà esprimere un parere entro il 31-12-2008. In questo contesto, proponiamo che sia fatta oggetto di confronto tra il governo e le parti sociali un’ipotesi che intervenga sulle regole con cui il montante contributivo viene trasformato in vitalizio, al fine di migliorare l’indicizzazione delle pensioni. La revisione dovrebbe portare a rimuovere dal coefficiente di trasformazione del montante contributivo in rate di pensione l’anticipazione della crescita economica attesa (assunta dalla riforma del ’95 all’1,5 percento all’anno). In tal modo, si potrebbe legare l’indicizzazione “reale” delle pensioni calcolate con il metodo contributivo (o la quota di ciascuna di esse regolata dal regime contributivo) all’andamento di un indice di sostenibilità dato dal rapporto tra spesa pensionistica ed il monte dei redditi da lavoro. Il fine è quello di permettere ai pensionati di partecipare ai frutti della crescita economica del paese. Se i redditi da lavoro crescono più della spesa per pensioni i pensionati partecipano in modo sostenibile alla crescita. Ciò li renderebbe compartecipi di riforme e interventi che aumentino l’efficienza e la crescita dell’economia e facciano emergere il lavoro sommerso, cui molti di loro oggi contribuiscono.

4. La copertura finanziaria dell’intervento.

Come si legge nella Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza pubblica per il 2008, «per raggiungere il pareggio sarà necessario compiere nel triennio 2009-2011 un’ulteriore correzione del disavanzo tendenziale a legislazione vigente di circa mezzo punto di PIL all’anno (intorno ai 20 miliardi nel triennio), nettamente inferiore a quella realizzata in due anni dal Governo uscente».

La RUEF prosegue sostenendo che «essa dovrebbe essere attuata attraverso il contenimento della spesa corrente primaria…». Il Programma del Partito Democratico, nell’Azione n. 1, fissa per il Governo che uscirà dal voto del 13 e del 14 Aprile un obiettivo più ambizioso: una riduzione della spesa corrente primaria di 0,5 punti di PIL nel primo anno e di un punto all’anno nei due anni successivi.

Sempre la RUEF, nel Quadro tendenziale e programmatico (Tavola 1.4), mostra come sia realistico ipotizzare che – senza interventi straordinari di valorizzazione del patrimonio – il volume globale del debito cada, nel 2011, al 95% del PIL. È dunque perfettamente realistico l’obiettivo fissato dal Programma del Partito democratico nell’Azione n. 1, là dove si ipotizzano, entro il 2010, iniziative di valorizzazione del patrimonio pubblico che possano contribuire a ridurre un poco più rapidamente il volume globale del debito sotto il 90% del PIL, così da liberare risorse per almeno mezzo punto di PIL all’anno.

Alla luce di questi realistici impegni di riduzione della spesa corrente primaria, il finanziamento della riduzione di pressione fiscale sui pensionati può essere messo a carico dell’aumento di gettito derivante dal mantenimento di «elasticità delle entrate al PIL che, se pure non forti come quelle degli ultimi due anni» si mantenessero al di sopra del livello medio della fase 2000-2005. Giova a questo proposito ricordare che, complessivamente, l’onere derivante dal finanziamento delle misure fiscali previste dal Programma del Partito Democratico ammonta nel 2009 – dopo il finanziamento dell’intervento proposto in questa nota integrativa – ad un punto di PIL, che sale a 2,3 punti nel 2012, mantenendosi costante negli anni successivi.

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